La prima opera di Simona Martini datata è la Maestà, dipinta nel 1313-1315 (ritoccata nel 1321) nella sala del Consiglio del Palazzo Pubblico di Siena, dove si trova tutt'oggi. Si tratta di un'opera di un pittore sicuramente già maturo e affermato, fosse solo per il prestigio di una commissione pubblica così importante; fra le opere precedenti attribuitegli, la "Madonna con il bambino" n° 583, conservata presso la Pinacoteca Nazionale di Siena costituisce un importante elemento di studio, anche in virtù del rapporto di Simone con la cultura gotica: si faccia un confronto fra la testa del bambino e le sculture di Marco Romano nel duomo di Cremona. Il grande affresco (970x763 cm.) è una sorta di omaggio alla Maestà del Duomo di Siena di Duccio di Buoninsegna, dalla quale riprende l'impostazione (Maria e il Bambino al centro seduti su un trono, teoria simmetrica di santi ai due lati con in primo piano i protettori della città), anche se fin da quest'opera Simone mostra di differenziarsi dalla pittura a lui precedente per la squisita commistione di delicatezze e raffinatezze gotiche: la Madonna è più austera, aristocraticamente distaccata (non guarda lo spettatore), il trono cuspidato e il baldacchino da cerimonia rimandano a un gusto cortese di sapore transalpino.
Diverso è anche il carattere delle due Maestà: eminentemente religiosa quella di Duccio, carica di significati morali e civici quella di Simone, commissionata dal governo dei Signori Nove in Siena.
Anche la disposizione dei santi non segue una successione paratattica come in Duccio, ma corre invece lungo delle linee diagonali parallele che convergono in profondità dando un'illusione spaziale in prospettiva di sapore giottesco. Del tutto assente è in Simone quell'horror vacui che sembra caratterizzare la Madonna duccesca: nella Maestà di palazzo pubblico ritroviamo altresì ampie porzioni di cielo azzurro. Da Giotto riprende inoltre la solidità del chiaroscuro, ma la gamma cromatica di Simone, affascinato dagli smalti e dalle oreficerie d'oltralpe, è più ampia e dotata di velature e passaggi più morbidi. Inoltre sia il disegno del trono, simile a uno di quei reliquiari "architettonici" tipici dell'epoca, (da confrontare, ad esempio, con il reliquiario del corporale di Ugolino da Vieri), sia la novità della punzonatura (stampigliatura di motivi a rilievo tramite la pressione di "punzoni") delle aureole e dei fondi oro rimandano all'oreficeria senese del XIV secolo, uno dei campi artistici più vicini alla cultura gotica francese dell'epoca.
Si tratta di un'opera dalla complessità compositiva, tecnica e semantica incredibili. Simone Martini lavorò all'affresco in più fasi: iniziò la maestà presumibilmente nel 1312-13, continuò il lavoro fino a circa due terzi della superficie, salvo poi abbandonarla (molto probabilmente per recarsi ad Assisi, in cui attendeva la cappella di San Martino) per completare la parte inferiore, oggi assai deteriorata a causa della tecnica adottata, principalmente pittura a secco, solo successivamente: è interessante notare, lungo la cornice illusionistica, il segno di ripresa del lavoro, caratterizzato dall'uso di punzoni differenti e da incongruenze nella resa dei modiglioncini, particolarmente evidenti, questi, nel lato destro. Nel 1321 Simone è chiamato nuovamente a metter mano al proprio lavoro per la "raconciatura" di alcune porzioni d'affresco; vennero completamente rifatte in questo periodo le teste della Madonna, del Bambino, di Sant'Orsola e Caterina d'Alessandria, dei due angeli offerenti, dei Santi Ansano e Crescenzio. In riferimento ai fatti avvenuti nel comune nel 1318 (rivolta dei carnaioli), si pose mano anche all'epigrafe immediatamente sotto il trono della Vergine, coprendo la scritta precedente, il cui messaggio venne affidato ai cartigli retti dai quattro Santi Avvocati della città.
La maestà di Duccio di Buoninsegna risale al 1308-1311 il suo capolavoro, nonché una delle opere più emblematiche dell'arte italiana: la Maestà per l'altar maggiore del Duomo di Siena, che restò esposta nel Duomo, anche se fra vari spostamenti, fino al 1878, mentre oggi è conservata presso il Museo dell'Opera Metropolitana.
Finita nel giugno del 1311, era tale la sua fama già prima del completamento, che il giorno 9, dalla bottega di Duccio in contrada Stalloreggi, fu portata in Duomo con una festa popolare con tanto di processione: a capo di questa, il vescovo e le massime autorità cittadine, mentre il popolo, portando candele accese, cantava ed elargiva elemosine.
Si tratta di una grande tavola (425x212 cm.) a due facce, anche se oggi si presenta tagliata lungo lo spessore secondo un discutibile intervento ottocentesco che non mancò di creare alcuni danni. Il lato principale, quello originariamente rivolto ai fedeli, era dipinto con una monumentale Vergine con Bambino in trono, circondata da un'affollata teoria di santi e angeli su fondo oro. La Madonna è seduta su un ampio e sfarzoso trono, che accenna ad un
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La prima opera di Simona Martini datata è la Maestà, dipinta nel 1313-1315 (ritoccata nel 1321) nella sala del Consiglio del Palazzo Pubblico di Siena, dove si trova tutt'oggi. Si tratta di un'opera di un pittore sicuramente già maturo e affermato, fosse solo per il prestigio di una commissione pubblica così importante; fra le opere precedenti attribuitegli, la "Madonna con il bambino" n° 583, conservata presso la Pinacoteca Nazionale di Siena costituisce un importante elemento di studio, anche in virtù del rapporto di Simone con la cultura gotica: si faccia un confronto fra la testa del bambino e le sculture di Marco Romano nel duomo di Cremona. Il grande affresco (970x763 cm.) è una sorta di omaggio alla Maestà del Duomo di Siena di Duccio di Buoninsegna, dalla quale riprende l'impostazione (Maria e il Bambino al centro seduti su un trono, teoria simmetrica di santi ai due lati con in primo piano i protettori della città), anche se fin da quest'opera Simone mostra di differenziarsi dalla pittura a lui precedente per la squisita commistione di delicatezze e raffinatezze gotiche: la Madonna è più austera, aristocraticamente distaccata (non guarda lo spettatore), il trono cuspidato e il baldacchino da cerimonia rimandano a un gusto cortese di sapore transalpino.
Diverso è anche il carattere delle due Maestà: eminentemente religiosa quella di Duccio, carica di significati morali e civici quella di Simone, commissionata dal governo dei Signori Nove in Siena.
Anche la disposizione dei santi non segue una successione paratattica come in Duccio, ma corre invece lungo delle linee diagonali parallele che convergono in profondità dando un'illusione spaziale in prospettiva di sapore giottesco. Del tutto assente è in Simone quell'horror vacui che sembra caratterizzare la Madonna duccesca: nella Maestà di palazzo pubblico ritroviamo altresì ampie porzioni di cielo azzurro. Da Giotto riprende inoltre la solidità del chiaroscuro, ma la gamma cromatica di Simone, affascinato dagli smalti e dalle oreficerie d'oltralpe, è più ampia e dotata di velature e passaggi più morbidi. Inoltre sia il disegno del trono, simile a uno di quei reliquiari "architettonici" tipici dell'epoca, (da confrontare, ad esempio, con il reliquiario del corporale di Ugolino da Vieri), sia la novità della punzonatura (stampigliatura di motivi a rilievo tramite la pressione di "punzoni") delle aureole e dei fondi oro rimandano all'oreficeria senese del XIV secolo, uno dei campi artistici più vicini alla cultura gotica francese dell'epoca.
Si tratta di un'opera dalla complessità compositiva, tecnica e semantica incredibili. Simone Martini lavorò all'affresco in più fasi: iniziò la maestà presumibilmente nel 1312-13, continuò il lavoro fino a circa due terzi della superficie, salvo poi abbandonarla (molto probabilmente per recarsi ad Assisi, in cui attendeva la cappella di San Martino) per completare la parte inferiore, oggi assai deteriorata a causa della tecnica adottata, principalmente pittura a secco, solo successivamente: è interessante notare, lungo la cornice illusionistica, il segno di ripresa del lavoro, caratterizzato dall'uso di punzoni differenti e da incongruenze nella resa dei modiglioncini, particolarmente evidenti, questi, nel lato destro. Nel 1321 Simone è chiamato nuovamente a metter mano al proprio lavoro per la "raconciatura" di alcune porzioni d'affresco; vennero completamente rifatte in questo periodo le teste della Madonna, del Bambino, di Sant'Orsola e Caterina d'Alessandria, dei due angeli offerenti, dei Santi Ansano e Crescenzio. In riferimento ai fatti avvenuti nel comune nel 1318 (rivolta dei carnaioli), si pose mano anche all'epigrafe immediatamente sotto il trono della Vergine, coprendo la scritta precedente, il cui messaggio venne affidato ai cartigli retti dai quattro Santi Avvocati della città.
La maestà di Duccio di Buoninsegna risale al 1308-1311 il suo capolavoro, nonché una delle opere più emblematiche dell'arte italiana: la Maestà per l'altar maggiore del Duomo di Siena, che restò esposta nel Duomo, anche se fra vari spostamenti, fino al 1878, mentre oggi è conservata presso il Museo dell'Opera Metropolitana.
Finita nel giugno del 1311, era tale la sua fama già prima del completamento, che il giorno 9, dalla bottega di Duccio in contrada Stalloreggi, fu portata in Duomo con una festa popolare con tanto di processione: a capo di questa, il vescovo e le massime autorità cittadine, mentre il popolo, portando candele accese, cantava ed elargiva elemosine.
Si tratta di una grande tavola (425x212 cm.) a due facce, anche se oggi si presenta tagliata lungo lo spessore secondo un discutibile intervento ottocentesco che non mancò di creare alcuni danni. Il lato principale, quello originariamente rivolto ai fedeli, era dipinto con una monumentale Vergine con Bambino in trono, circondata da un'affollata teoria di santi e angeli su fondo oro. La Madonna è seduta su un ampio e sfarzoso trono, che accenna ad un