L'albero verso il quale orientavi la tua piccola mano, il melograno dalle foglie verdi e dai fiori rossi, nel silenzioso e solitario orto, è nuovamente germogliato da poco e l'estate gli ridà nova vita
con il suo calore e la sua luce. Tu figlio di questo povero corpo, invecchiato e sciupato dal tempo, tu unico dono di questa mia vita inutile, giaci nella fredda terra di un camposanto, non potrai più vedere la luce del sole, né godere dell'amore.
Il tema della poesia è autobiografico , ma con una lettura attenta ci si accorge che il valore del testo non risiede solo nel dolore personale del poeta per la morte del figlio, ma si eleva all'inevitabile divario fra la morte individuale per gli uomini ed il ciclico, ritmico, puntuale rifiorire della natura.Il ricordo del bambino balza alla mente del poeta: lui si accorge del rinverdire primaverile del melograno che non potrà più associare, se non nel ricordo, al figlioletto. La morte è perciò totalmente desolazioni per chi, come il Carducci, non crede alla sopravvivenza dell'anima , ma una concezione materialistica del mondo.
Analisi METRICA:
-Quattro quartine di settenari(abbc-deec-fggc-hiic)
-metafore nei versi vv.9-10(tu fior de la mia pianta percossa e inaridita)
anafore nella terza e quarta strofa (Tu fior de la mia pianta / Tu unico fior de l'inutil vita - Sei nella terra fredda/sei ne la terra negra).
Già il titolo di questa breve lirica, legata alla scomparsa del piccolo Dante (avvenuta nel giugno del 1871), unico figlio maschio, oltre alle due bambine Beatrice e Laura, di Carducci, ed inserita nella raccolta Rime Nuove (1887), ci dà l’esatta percezione del periodo storico e degli sviluppi della poetica dell’autore.
Il componimento si colloca, infatti, in quella fase che segna per Carducci il passaggio da poeta artiere a poeta artista che, abbandonato lo strale polemico-satirico di Giambi ed Epodi e la foga giacobina e libertaria della fase "satanica", si concentra su temi più intimi e privati, affrontando appunto il problema del dolore, della morte, della memoria e della nostalgia con un atteggiamento di virile accettazione del destino, lontano sia da tentazioni nichilistiche ed autodistruttive, che da prospettive consolatorie di marca spirituale-cristiana, ma sempre confortato dalla lezione della poesia classica. Anche un altro componimento della stessa raccolta, infatti, Funere mersit acerbo, che prende il titolo da un emistichio virgiliano dell’Eneide, rievoca la scomparsa del piccolo Dante, legata idealmente a quella dell’altro Dante, fratello ventenne dell’autore, morto suicida pochi anni prima.
Le quattro strofette di quest’ode anacreontica, all’apparenza semplici e dall’andamento piano, quasi cantilenante (una rima baciata all’interno di ognuna di esse, tra il secondo e il terzo verso, ed una rima finale che le collega tutte nell’ultimo verso, sempre tronco), nascondono, anche a livello metrico, una struttura complessa e piena di richiami interni.
Il ritmo si sviluppa dalla prima all’ultima strofa in un crescendo di drammaticità, rendendosi man mano più asciutto, franto, spezzato dall’allitterazione della lettera r e da suoni duri ed aspri. Parallelamente lo stile volge verso una perentorietà che si fa lapidaria, al punto che l’ultima quartina è quasi un epitaffio, nelle ripetizioni anaforiche e nella rigidità icastica del costrutto.
Alla perfetta corrispondenza tra livello fonico, timbrico e ritmico (secondo il principio di equivalenza postulato da Roman Jakobson) fa riscontro un campo semantico che si sviluppa in modo parallelo alla struttura lessicale. Le prime due quartine, infatti, enucleano il concetto, potremmo dire, panteistico del perpetuo rinascere, del "rinverdire" della vita, in un ciclico ritorno di colore, odori, luce, calore e sono dominate da un ritmo disteso, piano, in una struttura salda e precisa che viene geometricamente e altrettanto precisamente ribaltata, letta quasi in uno specchio, nelle due quartine conclusive.
La continua rinascita e l’avvicendamento naturale e ciclico di vita e di morte che avviene sulla terra si riflette specularmente nella fine definitiva ed irrevocabile di un evento unico e irripetibile che nessun’altra estate potrà resuscitare alla vita.
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L'albero verso il quale orientavi la tua piccola mano, il melograno dalle foglie verdi e dai fiori rossi, nel silenzioso e solitario orto, è nuovamente germogliato da poco e l'estate gli ridà nova vita
con il suo calore e la sua luce. Tu figlio di questo povero corpo, invecchiato e sciupato dal tempo, tu unico dono di questa mia vita inutile, giaci nella fredda terra di un camposanto, non potrai più vedere la luce del sole, né godere dell'amore.
Il tema della poesia è autobiografico , ma con una lettura attenta ci si accorge che il valore del testo non risiede solo nel dolore personale del poeta per la morte del figlio, ma si eleva all'inevitabile divario fra la morte individuale per gli uomini ed il ciclico, ritmico, puntuale rifiorire della natura.Il ricordo del bambino balza alla mente del poeta: lui si accorge del rinverdire primaverile del melograno che non potrà più associare, se non nel ricordo, al figlioletto. La morte è perciò totalmente desolazioni per chi, come il Carducci, non crede alla sopravvivenza dell'anima , ma una concezione materialistica del mondo.
Analisi METRICA:
-Quattro quartine di settenari(abbc-deec-fggc-hiic)
-metafore nei versi vv.9-10(tu fior de la mia pianta percossa e inaridita)
anafore nella terza e quarta strofa (Tu fior de la mia pianta / Tu unico fior de l'inutil vita - Sei nella terra fredda/sei ne la terra negra).
Già il titolo di questa breve lirica, legata alla scomparsa del piccolo Dante (avvenuta nel giugno del 1871), unico figlio maschio, oltre alle due bambine Beatrice e Laura, di Carducci, ed inserita nella raccolta Rime Nuove (1887), ci dà l’esatta percezione del periodo storico e degli sviluppi della poetica dell’autore.
Il componimento si colloca, infatti, in quella fase che segna per Carducci il passaggio da poeta artiere a poeta artista che, abbandonato lo strale polemico-satirico di Giambi ed Epodi e la foga giacobina e libertaria della fase "satanica", si concentra su temi più intimi e privati, affrontando appunto il problema del dolore, della morte, della memoria e della nostalgia con un atteggiamento di virile accettazione del destino, lontano sia da tentazioni nichilistiche ed autodistruttive, che da prospettive consolatorie di marca spirituale-cristiana, ma sempre confortato dalla lezione della poesia classica. Anche un altro componimento della stessa raccolta, infatti, Funere mersit acerbo, che prende il titolo da un emistichio virgiliano dell’Eneide, rievoca la scomparsa del piccolo Dante, legata idealmente a quella dell’altro Dante, fratello ventenne dell’autore, morto suicida pochi anni prima.
Le quattro strofette di quest’ode anacreontica, all’apparenza semplici e dall’andamento piano, quasi cantilenante (una rima baciata all’interno di ognuna di esse, tra il secondo e il terzo verso, ed una rima finale che le collega tutte nell’ultimo verso, sempre tronco), nascondono, anche a livello metrico, una struttura complessa e piena di richiami interni.
Il ritmo si sviluppa dalla prima all’ultima strofa in un crescendo di drammaticità, rendendosi man mano più asciutto, franto, spezzato dall’allitterazione della lettera r e da suoni duri ed aspri. Parallelamente lo stile volge verso una perentorietà che si fa lapidaria, al punto che l’ultima quartina è quasi un epitaffio, nelle ripetizioni anaforiche e nella rigidità icastica del costrutto.
Alla perfetta corrispondenza tra livello fonico, timbrico e ritmico (secondo il principio di equivalenza postulato da Roman Jakobson) fa riscontro un campo semantico che si sviluppa in modo parallelo alla struttura lessicale. Le prime due quartine, infatti, enucleano il concetto, potremmo dire, panteistico del perpetuo rinascere, del "rinverdire" della vita, in un ciclico ritorno di colore, odori, luce, calore e sono dominate da un ritmo disteso, piano, in una struttura salda e precisa che viene geometricamente e altrettanto precisamente ribaltata, letta quasi in uno specchio, nelle due quartine conclusive.
La continua rinascita e l’avvicendamento naturale e ciclico di vita e di morte che avviene sulla terra si riflette specularmente nella fine definitiva ed irrevocabile di un evento unico e irripetibile che nessun’altra estate potrà resuscitare alla vita.