All’origine della crisi agraria ci fu forse il passaggio dalla proprietà familiare indivisa
alla spartizione per via ereditaria della terra: nel giro di qualche generazione certi lotti
dovettero frazionarsi a tal punto da rendere assai precarie le condizioni di vita dei
proprietari. Per esempio, bastava un anno di cattivo raccolto perché i contadini
fossero costretti a prendere a prestito il necessario per la sopravvivenza e le sementi
per l’anno successivo: ovviamente, quando non erano in grado di rimborsare il
debito, dovevano cedere la loro terra e finivano per lavorare come braccianti per il
nuovo padrone, ed era proprio a questo che il ricco possidente mirava per ampliare
la sua proprietà e garantirsi la manodopera necessaria; i contadini, ridotti allo stato di
conduttori, coltivavano per altri la loro proprietà di un tempo (accettando la
condizione lavorativa di ektèmoroi, ossia di mezzadri, per cui dovevano consegnare
5/6 del raccolto e se ne potevano tenere solo 1/6), a meno che, estrema ipotesi, non
fossero venduti come schiavi. Tutto ciò contribuì a creare un malcontento diffuso e
profondo non solo tra gli agricoltori, ma anche tra gli artigiani ed i mercanti i quali
rivendicavano per sé un ruolo proporzionale al grado di ricchezza raggiunto, visto
anche che le famiglie nobili detenevano tutto il potere politico. Le prime possibilità
di salvezza i contadini le trovarono nella migrazione verso le pòleis (ma gli schiavi
facevano loro una forte concorrenza), nell’ingaggio come mercenari presso i principi
egiziani ed asiatici oppure nell'avventura coloniale (ma non tutti avevano le risorse
finanziarie necessarie11). Quando lo squilibrio si fece insostenibile, si imposero
rapidamente due soluzioni alternative: il ricorso a tiranni o a legislatori.
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All’origine della crisi agraria ci fu forse il passaggio dalla proprietà familiare indivisa
alla spartizione per via ereditaria della terra: nel giro di qualche generazione certi lotti
dovettero frazionarsi a tal punto da rendere assai precarie le condizioni di vita dei
proprietari. Per esempio, bastava un anno di cattivo raccolto perché i contadini
fossero costretti a prendere a prestito il necessario per la sopravvivenza e le sementi
per l’anno successivo: ovviamente, quando non erano in grado di rimborsare il
debito, dovevano cedere la loro terra e finivano per lavorare come braccianti per il
nuovo padrone, ed era proprio a questo che il ricco possidente mirava per ampliare
la sua proprietà e garantirsi la manodopera necessaria; i contadini, ridotti allo stato di
conduttori, coltivavano per altri la loro proprietà di un tempo (accettando la
condizione lavorativa di ektèmoroi, ossia di mezzadri, per cui dovevano consegnare
5/6 del raccolto e se ne potevano tenere solo 1/6), a meno che, estrema ipotesi, non
fossero venduti come schiavi. Tutto ciò contribuì a creare un malcontento diffuso e
profondo non solo tra gli agricoltori, ma anche tra gli artigiani ed i mercanti i quali
rivendicavano per sé un ruolo proporzionale al grado di ricchezza raggiunto, visto
anche che le famiglie nobili detenevano tutto il potere politico. Le prime possibilità
di salvezza i contadini le trovarono nella migrazione verso le pòleis (ma gli schiavi
facevano loro una forte concorrenza), nell’ingaggio come mercenari presso i principi
egiziani ed asiatici oppure nell'avventura coloniale (ma non tutti avevano le risorse
finanziarie necessarie11). Quando lo squilibrio si fece insostenibile, si imposero
rapidamente due soluzioni alternative: il ricorso a tiranni o a legislatori.