Innanzitutto, credo che occorra mettersi d’accordo sul termine ‘procedura’ ed operare una sua distinzione rispetto ad altri strumenti della metodologia dell’assistenza infermieristica, quali processi, protocolli, linee-guida, ecc.
Per ‘procedura’ possiamo intendere la formalizzazione di una sequenza di comportamenti, anche piccoli, allo scopo di standardizzare un’attività infermieristica. Sono perciò esempi di ‘oggetti di procedura’: il posizionamento di un catetere vescicale a permanenza nel maschio adulto, la medicazione di una lesione da pressione di secondo grado in zona sacrale, l’igiene dei capelli in una persona sottoposta a chemioterapia, ma anche, il colloquio infermieristico al momento della presa in carico dell’assistito, la distribuzione dei pasti in un’unità operativa, la documentazione scritta dell’assistenza infermieristica erogata da consegnare all’assistito alla dimissione.
Questi ultimi esempi ci permettono di classificare alcune tra le principali tipologie di procedure:
1)procedure dirette alla standardizzazione della pratica infermieristica, sia rivolta ad un individuo o ad un gruppo (es.: igiene dell’enterostomia);
2)procedure dirette alla standardizzazione dei metodi e degli strumenti per la pratica infermieristica (es.: passaggio delle informazioni al cambio del turno);
3)procedure dirette alla standardizzazione dell’organizzazione delle attività infermieristiche e tecnico-alberghiere (es.: acquisizione e distribuzione dei pasti).
Cioè, come scelgo l’attività che ‘merita’ di essere oggetto di una specifica procedura? Penso si debba iniziare da ciò che gli infermieri ritengono realmente utile o necessario al miglioramento dell’attività dell’équipe infermieristica! Infatti, il percorso di costruzione, applicazione e verifica continua delle procedure è complesso, richiede un investimento di risorse (tempo, materiali, energie intellettuali, accordo tra professionisti ecc.) e non può essere destinato ad ‘oggetti’ non percepiti come prioritari o magari ‘imposti’ da altre figure professionali o dalle direzioni.
Attualmente la letteratura sulle teorie manageriali fornisce numerose tecniche per ‘scovare’ l’attività su cui è necessario, o più utile, o più conveniente orientarsi. Ad esempio, il cosiddetto ‘incidente critico’, che può essere utilizzato in qualsiasi ambito o specialità: tutti gli operatori si impegnano a monitorare, per un certo periodo di tempo, l’attività di reparto allo scopo di registrare (meglio per scritto) eventuali errori, lamentele ecc. Insomma, si cerca di individuare il problema più grave o più frequente di una realtà. Questa tecnica è facilmente applicabile anche se ha dei limiti.
Il problema individuato diviene il punto di partenza per la costruzione delle procedure: il passaggio successivo consiste nel cercare di standardizzare tutte le attività che, variamente, incidono sul manifestarsi di quel determinato problema
le differenze sono:
Cara L., hai toccato una questione importante nella nostra ancor giovane scienza infermieristica: spesso, la definizione di numerosi concetti, pur fondamentali sia a livello teoretico sia a livello operativo, si presenta, per una serie di ragioni la cui analisi oltrepassa gli obiettivi della presente risposta, ricca di contributi ma eccessivamente disomogenea sia per il linguaggio utilizzato sia per la sostanza concettuale.
Volendo dunque tentare un’opportuna distinzione tra protocolli e procedure, consapevole di rischiare di aggiungere un’ennesima definizione a quelle già esistenti, senza peraltro nulla mutare di quanto già non si conosca – o addirittura aumentando la ‘confusione semantica’ tra i soggetti interessati all’argomento – comincio col definire entrambi come strumenti metodologici di standardizzazione dell’assistenza infermieristica. Protocolli e procedure, infatti, appartengono – insieme a linee guida, raccomandazioni, ecc. – a quella ‘cassetta degli attrezzi’ di cui dispongono le professioni sanitarie per razionalizzare e modellare comportamenti singoli o di équipe a partire da criteri stabiliti.
In particolare, il protocollo rappresenta il corso d’azione infermieristica codificato da preferire nell’erogazione di una data prestazione, in una data situazione. Questa definizione non aiuta granché, perché è molto generica. Aggiungiamo allora che il protocollo può essere considerato tale solo quando, nelle sue diverse componenti, è in grado di dettagliare:
1) la situazione clinica del paziente per la quale il protocollo deve o può essere attivato (ad esempio, la preparazione ad un determinato intervento chirurgico);
2) il problema (o i problemi) di pertinenza infermieristica che il protocollo si propone di affrontare e gestire e/o, ancora, i risultati che si intendono raggiungere (ad esempio, nel caso dell’intervento chirurgico, il ‘bisogno di sicurezza’, il ‘rischio di infezione chirurgica’, la ‘prevenzione delle infezioni chirurgiche’, la ‘riduzione della carica batterica cutanea’,
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Innanzitutto, credo che occorra mettersi d’accordo sul termine ‘procedura’ ed operare una sua distinzione rispetto ad altri strumenti della metodologia dell’assistenza infermieristica, quali processi, protocolli, linee-guida, ecc.
Per ‘procedura’ possiamo intendere la formalizzazione di una sequenza di comportamenti, anche piccoli, allo scopo di standardizzare un’attività infermieristica. Sono perciò esempi di ‘oggetti di procedura’: il posizionamento di un catetere vescicale a permanenza nel maschio adulto, la medicazione di una lesione da pressione di secondo grado in zona sacrale, l’igiene dei capelli in una persona sottoposta a chemioterapia, ma anche, il colloquio infermieristico al momento della presa in carico dell’assistito, la distribuzione dei pasti in un’unità operativa, la documentazione scritta dell’assistenza infermieristica erogata da consegnare all’assistito alla dimissione.
Questi ultimi esempi ci permettono di classificare alcune tra le principali tipologie di procedure:
1)procedure dirette alla standardizzazione della pratica infermieristica, sia rivolta ad un individuo o ad un gruppo (es.: igiene dell’enterostomia);
2)procedure dirette alla standardizzazione dei metodi e degli strumenti per la pratica infermieristica (es.: passaggio delle informazioni al cambio del turno);
3)procedure dirette alla standardizzazione dell’organizzazione delle attività infermieristiche e tecnico-alberghiere (es.: acquisizione e distribuzione dei pasti).
Cioè, come scelgo l’attività che ‘merita’ di essere oggetto di una specifica procedura? Penso si debba iniziare da ciò che gli infermieri ritengono realmente utile o necessario al miglioramento dell’attività dell’équipe infermieristica! Infatti, il percorso di costruzione, applicazione e verifica continua delle procedure è complesso, richiede un investimento di risorse (tempo, materiali, energie intellettuali, accordo tra professionisti ecc.) e non può essere destinato ad ‘oggetti’ non percepiti come prioritari o magari ‘imposti’ da altre figure professionali o dalle direzioni.
Attualmente la letteratura sulle teorie manageriali fornisce numerose tecniche per ‘scovare’ l’attività su cui è necessario, o più utile, o più conveniente orientarsi. Ad esempio, il cosiddetto ‘incidente critico’, che può essere utilizzato in qualsiasi ambito o specialità: tutti gli operatori si impegnano a monitorare, per un certo periodo di tempo, l’attività di reparto allo scopo di registrare (meglio per scritto) eventuali errori, lamentele ecc. Insomma, si cerca di individuare il problema più grave o più frequente di una realtà. Questa tecnica è facilmente applicabile anche se ha dei limiti.
Il problema individuato diviene il punto di partenza per la costruzione delle procedure: il passaggio successivo consiste nel cercare di standardizzare tutte le attività che, variamente, incidono sul manifestarsi di quel determinato problema
le differenze sono:
Cara L., hai toccato una questione importante nella nostra ancor giovane scienza infermieristica: spesso, la definizione di numerosi concetti, pur fondamentali sia a livello teoretico sia a livello operativo, si presenta, per una serie di ragioni la cui analisi oltrepassa gli obiettivi della presente risposta, ricca di contributi ma eccessivamente disomogenea sia per il linguaggio utilizzato sia per la sostanza concettuale.
Volendo dunque tentare un’opportuna distinzione tra protocolli e procedure, consapevole di rischiare di aggiungere un’ennesima definizione a quelle già esistenti, senza peraltro nulla mutare di quanto già non si conosca – o addirittura aumentando la ‘confusione semantica’ tra i soggetti interessati all’argomento – comincio col definire entrambi come strumenti metodologici di standardizzazione dell’assistenza infermieristica. Protocolli e procedure, infatti, appartengono – insieme a linee guida, raccomandazioni, ecc. – a quella ‘cassetta degli attrezzi’ di cui dispongono le professioni sanitarie per razionalizzare e modellare comportamenti singoli o di équipe a partire da criteri stabiliti.
In particolare, il protocollo rappresenta il corso d’azione infermieristica codificato da preferire nell’erogazione di una data prestazione, in una data situazione. Questa definizione non aiuta granché, perché è molto generica. Aggiungiamo allora che il protocollo può essere considerato tale solo quando, nelle sue diverse componenti, è in grado di dettagliare:
1) la situazione clinica del paziente per la quale il protocollo deve o può essere attivato (ad esempio, la preparazione ad un determinato intervento chirurgico);
2) il problema (o i problemi) di pertinenza infermieristica che il protocollo si propone di affrontare e gestire e/o, ancora, i risultati che si intendono raggiungere (ad esempio, nel caso dell’intervento chirurgico, il ‘bisogno di sicurezza’, il ‘rischio di infezione chirurgica’, la ‘prevenzione delle infezioni chirurgiche’, la ‘riduzione della carica batterica cutanea’,