Andare oltre se stessi si può?

Questa è una storia vera, realmente accaduta, di cui sono l’autore.

Spesso, più di quanto si è soliti immaginare, i nostri sogni che ci portiamo dentro, sin da bambini, sono i mattoni della nostra stabilità interiore. Li custodiamo gelosamente, come una chiave che apre lo scrigno magico dei desideri, fino a quel giorno, fino a quando, i sogni diventano realtà….

Antonio era il mio bidello alle elementari. Lo vidi finchè frequentai tutte le clessi elementari. Poi gli anni passarono non seppi più nulla di lui, solo che emigrò in Svizzera. L’ ho rivisto dopo 15, quindici lunghissimi anni,! Fu per caso, mentre avevo i pensieri distesi su quegli immensi prati che circondavano il paesino, che inciampai nel suo sguardo…. Il tempo e il lavoro stressante gli avevano imbiancato i capelli e avvizzito il volto, ma sostanzialmente aveva conservato il carattere di quando era bidello nella mia scuola, simpatico, allegro e sempre affettuoso. Volle portarmi a vedere la casa che con tanti sacrifici aveva realizzato anno dopo anno. Era una bella villetta non ancora terminata, circondata da un giardino già ricco di piante. Entrammo e dentro era ancora più bella. Gli ambienti erano ampi, illuminati e arricchiti di arcate e decorazioni. Mi congratulai con lui, ma mi accorsi che il suo sguardo era pervaso da profonda tristezza. La moglie, vicino a lui, lo seguiva con indifferenza: era una nordica dalla pelle bianca e i capelli biondi. Antonio cercava di farla partecipare alla sua gioia, ma lei sorrideva senza interesse. Poi si rivolse a me con desolazione: “A lei non piace qui. Ma io una casa cosi l’ ho desiderata da quando ero bambino. La mia famiglia viveva in due stanze ed eravamo dieci figli. La mamma ci mandava per la strada… la strada era la nostra casa!” poi astratto, quasi parlando a se stesso: Ma io tornerò in Italia, non so quando, non so come, ma tornerò!. Non è facile immedesimarsi in un uomo che ama la sua terra dove ha vissuto da sempre come in un vivaio sicuro e che per bisogno è stato costretto a lasciarla per andare a vivere in un paese lontano tanto diverso dal suo! Forse il legame con la propria terra si rafforza e giorno dopo giorno si lavora, si fatica incessantemente per tener salde le proprie radici, per rafforzare il filo della speranza, per rabbonire il desiderio di lasciare tutto, anche la ricchezza e tornare. Fu allora che pensai che la vita dell’emigrante è una lotta continua contro la nostalgia e l’isolamento, contro la solitudine amara non compensata dall’agiatezza, contro il desiderio di sentirsi chiamare per nome e di ascoltare la familiare cadenza della propria lingua, contro la disperazione di non vedersi riflesso negli occhi dell’altro.

Mi chiesi “Perché tanti sacrifici e tante umiliazioni?” Da dove viene tutto questo coraggio agli umili mansueti contadini, semplici zappaterra del nostro sud? La risposta potrebbe essere una sola: il bisogno, ma non è tutto. La nostra gente è forte e sana e potrebbe anche sopportare disagi e privazioni. Ma dal bisogno si parte per giungere a motivi ben più alti come la dignità dell’uomo e il riscatto sociale. Il bisogno fa piegare la testa, umilia, avvilisce, conferma servilismo e schiavitù contro la propria volontà. Sganciarsi dalla miseria significa acquisire libertà, libertà di pensare e di desiderare, libertà di avere quanto ognuno ha diritto di avere. E allora i sacrifici contano? L’importante è rivalutarsi e sentire la propria dignità al pari della dignità di tutti. Per Antonio, punto di riferimento della sua vita di sradicato era la sua Casa. Senza quella casa meravigliosa che racchiudeva i suoi sentimenti, i suoi desideri, le sue aspettative, la vita all’estero non avrebbe avuto senso, sarebbe stata assurda, come purtroppo, era assurda quella donna nordica, bionda e slavata accanto a lui.

Uscimmo dalla casa, ognuno con i suoi pensieri e le sue meditazioni. In quel momento sul marciapiede antistante, proprio accanto al cancello due operai del comune stavano installando un contenitore di rifiuti. ” No, questo proprio no!” Antonio si avvicinò agitatissimo e discusse animatamente con gli operai. Fu una colluttazione vera e propria. Gli operai dovevano eseguire gli ordini, ma quella era la sua casa e nessuno doveva permettersi di contaminarla con simili indecenze. Il giorno dopo il contenitore non c’era più, ma la casa dei sogni aveva nuovamente le finestre sbarrate. Antonio era nuovamente partito; ma il suo cuore era rimasto fra quelle mura che gli davano la forza di vivere in terra straniera…pensai che… sono i sogni a salvarci, a darci la spinta di credere, di spingerci oltre, fin lassù, per andare incontro al nostro destino, che come le stelle, traccia una scia incandescentre, luminosa, nata per brillare di luce propria!

Un saluto a tutti!!!

Ishak

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